5 nov 2016

LA MITICA ATLANTIDE E I MISTERI SOMMERSI NEL CANALE DI SICILIA


Scoperto nel Canale di Sicilia un sito sommerso di 9500 anni fa. E’ più antico delle celebri Piramidi di Giza, in Egitto, databili secondo l’archeologia ufficiale a circa 4500 anni fa. Ed è più remoto anche del misterioso circolo neolitico di Stonhenge, in Inghilterra, risalente intorno ai 4000 anni fa. 
Parliamo del sito archeologico sommerso, a 60 km dalla costa siciliana, è stato rinvenuto un monolito lavorato di 12 metri di lunghezza e 15 tonnellate di peso, che presenta fori regolari su alcuni dei suoi lati ed un foro che lo attraversa per intero in una sua estremità. L’eccezionale ritrovamento testimonia la presenza di antiche popolazioni in questo angolo del Mediterraneo, intorno a 9500 anni fa, quando il livello globale del mare era più basso di oltre 40 metri, profondità alla quale il reperto è adagiato.

A rendere particolarmente affascinante la scoperta nel Canale di Sicilia è il fatto che quello identificato è uno fra i siti sommersi più antichi finora conosciuti, di età Mesolitica, più o meno coevo delle sbalorditive strutture di Göbekli Tepein Turchia, al momento il più antico complesso templare dell’umanità, che ci riporta direttamente all’era glaciale (circa 12 mila anni fa); sito le cui caratteristiche sono narrate dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt nel libro “Costruirono i primi templi”.


I dati ci riportano ad un arcipelago di isole che già nel Mesolitico furono abitate e che fino a circa 9000 anni fa costellavano il settore nord-occidentale del Canale di Sicilia facendo da “ponte” tra le coste della Sicilia e l’Isola di Pantelleria (Trapani). Esso sarebbe stato progressivamente inghiottito dall'innalzamento del mare seguito allo scioglimento della calotta di ghiaccio che copriva buona parte dell’odierna Europa settentrionale, durante l’Ultimo Massimo Glaciale (circa 18000 anni fa). “Il Canale di Sicilia è una delle zone del Mediterraneo centrale nelle quali le conseguenze del mutamento del livello del mare furono più drammatiche ed intense”, dichiarano in proposito i due studiosi.

Sebbene la scoperta del monolite sia avvenuta nel Mediterraneo centro-occidentale a poca distanza da Pantelleria, non può non evocare il mito della civiltà sommersa di Atlantide, almeno secondo quelle ricostruzioni che lo vorrebbero ambientato nel Mare Nostrum piuttosto che nell’Oceano Atlantico: una fra le più note è ad esempio quella elaborata dal giornalista italiano Sergio Frau che nel suo libro Le colonne d’Ercole (2002) propone di identificare le “colonne” di cui parla Platone non con lo Stretto di Gibilterra ma proprio con il Canale di Sicilia e l’isola di Atlantide con la Sardegna, patria del misterioso popolo dei Shardana.

Uscendo dalle dense nebbie del mito per entrare nelle foschie della protostoria, è ancora più interessante citare Quando il mare sommerse l’Europa, volume di Vittorio Castellani, astrofisico dell’Università di Pisa e Accademico dei Lincei, su cui si è peraltro basato lo stesso Frau. Castellani, interrogandosi sull’ipotesi che il mito atlantideo rappresenti una reminiscenza reale di popoli ed epoche antichissime e studiando le variazioni geomorfologiche subite da varie zone d’Europa a seguito dell’ultima glaciazione, pone al centro della sua attenzione quella civiltà delle “grandi pietre” di cui rimangono cospicue tracce in area continentale e mediterranea e che allo sciogliersi dei ghiacci, col conseguente innalzamento del livello del mare, dovette subire in molti luoghi l’azione distruttiva delle acque. Proprio parlando del Canale di Sicilia, Castellani fa riferimento alla presenza di terre, oggi sommerse, che portavano la Sicilia meridionale “ad avvicinarsi sensibilmente, se non a congiungersi, con le attuali isole di Malta a sud e di Pantelleria ad Occidente”. Una tesi questa – già basata su dati geologici e archeologici concreti – che sembra trovare sorprendente conferma nel recente ritrovamento siciliano, il quale ci parla proprio di terre un tempo abitate ed oggi coperte dalle acque marine.



Siamo nell'estate del 1957. Il capitano Raimondo Bucher, medaglia d'oro al valore sportivo, esplora assieme al fratello i fondali del canale di Sicilia, tra l'isola di Linosa e il golfo della Sirte. I due rimangono incantati davanti a una mastodontica muraglia di natura vulcanica che si getta fino a una profondità di circa 60 metri. Gli esperti sommozzatori (Bucher era stato il primo campione del mondo d'immersione in apnea nel 1950) non ebbero dubbi che quei fondali, in prossimità di Linosa, conservassero straordinarie testimonianze archeologiche, che non potevano essere ignorate. In una seconda immersione, infatti, si trovarono davanti a qualcosa di molto più interessante: una sorta di idolo faraonico circondato da centinaia di anfore. Le sorprese non erano finite: tra un groviglio di alghe un'altra statua dalle forme imprecisate catturò la loro attenzione. Si dice che il capitano avrebbe scattato alcune foto subacquee, ma alla stampa sarebbero risultate poco nitide, considerata l'attrezzatura del tempo e la profondità.


Questa storia, dimenticata per più di mezzo secolo, riemerge nell'inverno del 2010 quando, in prossimità degli stessi fondali, alcune navi della marina libica scoprono i resti di diversi edifici urbani. Attorno vi sono anche frammenti di sculture, vari oggetti metallici e la testa di Melqart, un eroe semi-divino, nume tutelare della città fenicia di Tiro. Questi e altri preziosi reperti sono stati recuperati per essere esaminati da una equipe di esperti di archeologia subacquea. C'è stato un rigoroso riserbo sui rinvenimenti, ma si è avanzata un'ipotesi clamorosa: si tratta forse dei reperti di un'antica Atlantide? La località del ritrovamento è nota ai pescatori come la Dimora di Satana (Deir ash Sheytan, in lingua maltese, Kadal Diawul), una sorta di minuscolo Triangolo delle Bermuda, dove si sono registrati frequenti e gravi danni alle attrezzature da pesca.

Parlare di Atlantide a molti sembra un'esagerazione frutto di fantasia, ma le coordinate coincidono con il sito della leggendaria isola indicato dallo studioso ed esperto di storia dell'arte Alberto Arecchi. Sulla base di meticolose ricerche, Arecchi ipotizza che il mitico regno descritto da Platone nei Dialoghi sia realmente esistito e che si trovi al centro del Mediterraneo. Platone descrive una vasta pianura fertile al largo delle coste tunisine, che si spingeva fino alle estremità occidentali della Sicilia. Qui si sarebbe sviluppata una potenza marittima, una civiltà molto avanzata. Sarebbe stato un catastrofico maremoto a spazzare il bassopiano di Atlantide e a inghiottirla, facendola entrare nella leggenda.

C'è chi ritiene impossibile che i reperti siano tracce riconducibili ad Atlantide, in quanto localizzati a una profondità eccessiva - 400 metri - e ben lontano dalla costa. Altri però controbattono affermando che il VII e il VI millennio a.C. il livello del Mediterraneo era molto più basso rispetto a oggi, per cui l'area interessata dalla ricerca poteva benissimo essere illuminata dal sole e pullulare di gente. 

Secondo le ricerche di esperti come ad es. Tjeerd van Andel, geologo dell'Università di Cambridge, superfici costiere oggi sommerse erano all'asciutto, molte attuali isole erano unite le une alle altre, ed alcune addirittura non lo erano ancora, poiché unite alla terraferma. Era questo il caso ad esempio delle attuali isole Egadi (al largo di Trapani) fuse in una vasta superficie asciutta del Canale di Sicilia a sua volta unita all'isola siciliana. Dall'altro versante anche le isole maltesi erano inglobate in un vasto promontorio unito alla parte meridionale sempre della Sicilia, mentre le coste tunisine erano molto più vicine al litorale siciliano incorporando anche le attuali Isole Pelagie: Pantelleria, Lampedusa, ed ovviamente anche Linosa. Anche la parte occidentale del Golfo della Sirte era in gran parte asciutto. E' provato che in quei tempi remoti esisteva già la civiltà nelle regioni mediorientali : le rovine ed i numerosi reperti ad esempio della città anatolica di Catal-Uiuk, o di Gerico in Palestina risalenti anche all'VIII millennio a. C. stanno lì a dimostrarlo. Ed esistevano anche centri urbani costieri poi sommersi dall'innalzamento del mare. 

Al largo della città israeliana di Haifa ad una trentina di metri di profondità sono state infatti scoperte nel secolo scorso i resti di insediamenti grandi e piuttosto sofisticati risalenti al VII millennio a. C. Atlit-Yam, Neve-Yam, Megadim, ed altre ancora si dimostrano essere state cittadine costiere i cui abitanti erano dediti alla pesca oltre che al commercio di prodotti ittici, ed il cui livello di vita doveva essere tutt'altro che povero: le rovine presentano infatti edifici in muratura, magazzini ancora pieni di scorte, piazze lastricate, pozzi per l'acqua e luoghi di culto megalitici.

In teoria dunque anche nelle aree oggi sommerse, ma a quei tempi ancora all'asciutto, del Mediterraneo centrale ed occidentale, potevano esservi insediamenti di ogni dimensione ed importanza, ancora ovviamente tutti da scoprire. Ma è poco probabile che si trovino ad una profondità superiore a 90 - 100 metri, poiché come ci dicono le ricostruzioni geologiche tale è stata la portata dell'innalzamento dei mari in tutto il mondo in seguito allo scioglimento dei ghiacci alla fine dell'ultima era glaciale (e non è certo una misura di poco conto). In particolare le due sponde opposte del Canale di Sicilia che doveva apparire più simile ad uno stretto, largo non più di 50 - 100 chilometri certamente presentavano una geografia costiera ricca di golfi e approdi, favorevoli al sorgere di insediamenti urbani dediti alla pesca ed agli scambi, sia con le altre cittadine, sia con i gruppi di cacciatori/allevatori/coltivatori dell'entroterra. In conseguenza dello scioglimento dei ghiacci e della mutata situazione climatica, in quel remoto periodo anche le precipitazioni risultavano molto più abbondanti dovunque anche negli attuali territori desertici del Sahara. A sud di Tunisi si trovava un lago chiamato Ouargia dai geologi, e veniva alimentato da un fiume che dagli altopiani del Tassili oggi assolutamente secchi e aridi scorreva verso nord lungo un territorio allora molto più umido e fertile. In mezzo alle attuali sabbie ardenti dell'Algeria meridionale e del Mali settentrionale si stendevano grandi laghi azzurri chiamati dai geologi Taouat, Taoudenni, Azouak, ecc. Queste vaste zone umide, e le praterie che sostituivano l'attuale sabbia arida, richiamavano una gran quantità di specie animali cacciate dai numerosi gruppi umani presenti in tutto il Sahara, come testimoniato dai graffiti e dalle pitture rupestri che ci hanno lasciato in molte parti del grande deserto, come ad esempio proprio negli altopiani del Tassili.

Il fiume che nasceva da questi altopiani in pieno Sahara sfociava come si è detto in un grande lago nell'attuale Tunisia, l'Ouargia appunto. Questo poteva in realtà essere il misterioso Tritonide lago o "palude" - di cui parlano molti scrittori antichi, da Apollonio di Rodi nelle "Argonautiche" a Scilace di Carianda, Erodoto e Diodoro Siculo. Quest'ultimo riporta sorprendenti notizie ricavate a sua volta da un testo perduto del II sec. a. C. di un certo Dioniso Scitobrachione di Alessandria, il quale affermava che il lago in questione era il regno delle Amazzoni della Libia (nel senso di Nord-Africa) molto più antiche e ben distinte (Diodoro ci tiene a sottolinearlo) dalle più famose Amazzoni incontrate dagli Argonati nel Ponto, l'attuale Turchia settentrionale. 

Il regno nordafricano delle Amazzoni era "un paese ad Occidente agli estremi confini della Terra, governato da donne che avevano uno stile di vita dissimile dal nostro. Infatti era costume di queste donne coltivare con impegno l'esercizio della guerra per conservarsi vergini. Poi passati gli anni dedicati all'attività militare, si univano agli uomini per procreare. Soltanto loro però governavano, comandavano ed esercitavano i pubblici uffici. Gli uomini, come le donne sposate da noi, conducevano una vita casalinga, eseguendo gli ordini delle loro spose e non curandosi né dell'attività militare né del governo del regno. Non appena i bambini nascevano le donne li consegnavano agli uomini affinchè li nutrissero con latte ed altri cibi adatti all'infanzia. Alle bambine bruciavano le mammelle affinchè non crescessero, convinte che fossero di impedimento nei combattimenti. 

Per questo venivano chiamate "Amazzoni", ovvero senza mammelle. Vivevano su di un'isola la quale per il fatto di trovarsi ad occidente era chiamata Esperia, ed era situata nella palude Tritonide, vicino all'Oceano [il Mar Mediterraneo?] che prende il nome dal fiume Tritone che in esso affluisce. Si dice che questa palude fosse ai confini dell'Etiopia [il Magreb?] vicino ad un monte, presso l'Oceano, chiamato dai Greci Atlante, che sorpassava in altezza tutti gli altri. L'isola appena citata era ben grande, e piena di alberi da frutto di vario genere, da cui la gente del paese si procurava cibo..." (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, Libro III). Diodoro continua narrando di come le donne guerriere riuscirono a sottomettere le località vicine tranne una città sacra di nome Mene, vicina ad un grande vulcano attivo che forniva anche Ossidiana ed altri minerali. Poi dopo avere sconfitto anche i Libi e i nomadi dell'interno, fondarono anche una grande città di nome Cherroneso sempre nella loro isola all'interno del Lago Tritonide. Sempre secondo lo storico di Agira tuttavia, isola e città scomparvero successivamente insieme a tutto il lago sommersi dalle acque del Mediterraneo allorchè il mare irruppe nel bacino di acqua dolce in seguito ad un forte terremoto. Proprio sul racconto dello storico siciliano, tra l'altro, si basa la ricostruzione del prof. Alberto Arecchi.

Diodoro Siculo si rendeva perfettamente conto che una storia come questa poteva sembrare fantasiosa già ai lettori dei suoi tempi, ma a parte donne guerriere e città sommerse i più recenti studi geologici nel Canale di Sicilia sembrano dargli ragione, come abbiamo visto. Nonostante vi sia chi identifichi il regno delle Amazzoni con le Isole Canarie, se è vero che il Lago Tritonide corrispondeva con l'antico lago tunisino di Ouargia e si trovava nella parte un tempo emersa del Golfo della Sirte, sia terremoti che innalzamento del Mediterraneo provocarono dopo il 6000 a. C. anche il suo inabissamento, lasciando in superficie solo i picchi più alti come le attuali Isole Pelagie, ovvero Lampedusa, Linosa e Pantelleria, quest'ultima all'epoca un vulcano attivo che forniva anche Ossidiana lavorata ed esportata nei millenni successivi in tutto il Mediterraneo Occidentale.

Comunque sia, dalla parte opposta dell'attuale Tunisia, analoghe testimonianze di arte rupestre rinvenute nelle grotte siciliane dimostrano una similare attività di gruppi umani preistorici dell'entroterra dediti alla caccia e alla raccolta/coltivazione di piante commestibili. Nella Grotta dell'Uzzo nella Riserva naturale dello Zingaro (fra Palermo e Trapani) ed in altre vicine, oltre ad interessanti graffiti sono state rinvenute chiare prove dell'arrivo delle nuove tecniche agricole da sud, ovvero dalla prospicente costa africana, anziché da oriente. Sulle pareti della Grotta del Genovese nell'Isola di Levanzo (Egadi), sono state rinvenute oltre a tre sagome umane impegnate in una danza, anche l'immagine pittorica di un tonno, segno che la pesca veniva praticata nella zona, anche se probabilmente non da chi frequentava abitualmente quelle grotte. Non è escluso infatti che lungo le antiche linee costiere della Sicilia vi fossero numerosi insediamenti, che oggi si trovano in fondo al mare. Quest'ultimo poi finì per invadere inesorabilmente i campi e le eventuali città spinto dallo scioglimento dei ghiacci polari, anche se certamente non solo per questo motivo, come possono dimostrare le rovine sommerse di un'altra città a noi molto più vicina nel tempo.

Un paio di mesi prima dell'annuncio da parte delle autorità libiche del ritrovamento delle rovine sommerse a grandi profondità, la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana all'inizio del dicembre 2009 dava notizia della scoperta di un'antica città romana tardo-imperiale sommersa nei bassi fondali della Cirenaica, nel Golfo di Bomba. Un gruppo di archeologi italiani diretti da Sebastiano Tusa, mentre erano impegnati già da qualche anno in un progetto di ricognizione archeologica lungo le coste libiche - ArCoLibia (Archeologia Costiera della Libia) si trovarono improvvisamente di fronte a resti di case, strade, tombe, sommersi ad una profondità di appena tre metri sotto la superficie marina. 

L'insediamento rimase vittima di un fenomeno geologico noto come bradisimo negativo, caratterizzato da un lento abbassamento della superficie costiera (proprio come ad esempio nel caso di Venezia). Ma segni di impatti violenti in alcuni muri di mattoni che risultano addirittura spostati fanno sospettare che la città prima di essere vinta dalle maree sempre più alte, venne devastata anche dallo tsunami che si abbattè in tutto il Mediterraneo centrale e orientale nel 365 d. C., recando danni anche ad esempio a diversi porti siciliani come Eraclea Minoa nei pressi dell'attuale Sciacca. Responsabile di quella catastrofe fu probabilmente un non meglio identificato terremoto sottomarino, ma qualche geologo avanza anche l'ipotesi di una violenta eruzione subacquea dell'Empedocle, il grande vulcano sommerso scoperto appena da pochi anni nelle profondità del Canale di Sicilia.

Innalzamento dei mari, bradisismi, terremoti, tsunami, contribuirono certamente a rendere estremamente difficile e precaria la vita di quelle antichissime città marittime probabilmente esistenti tra il 9000 ed 6000 a. C. nelle superfici oggi sommerse tra Sicilia e Africa. Senza contare che non passarono certamente indenni di fronte alla tremenda prova costituita dalla "catastrofe delle catastrofi": l'imponente e distruttivo megatsunami scatenato in tutto il Mediterraneo Centrale e Orientale dal crollo nel Mar Jonio del fianco est dell'Etna, proprio intorno al 6000 a. C. Le gigantesche ondate alte anche, secondo i calcoli dei ricercatori, più di 40 metri, si abbatterono anche lungo le coste africane del Golfo della Sirte e di riflesso secondo quanto stabilito dalle simulazioni al computer rimbalzarono verso le restanti coste siciliane e tunisine del Canale di Sicilia. Non è troppo fantasioso immaginare che quelle ipotetiche città subissero gravissimi lutti e danni soprattutto alla loro attività economica e commerciale, cadendo in rovina anche prima che l'inesorabile innalzamento del mare li ricoprisse.

In conclusione, c'è più di un motivo dunque per ritenere che il Capitano Bucher più di cinquant'anni fa abbia realmente scoperto una di queste antichissime città sommerse nei fondali di Linosa. E che analogamente anche i sommozzatori libici nel gennaio del 2010 ne abbiano localizzato un'altra nel Golfo della Sirte. Molto probabilmente tuttavia, non saranno le uniche presenti in fondo al Canale di Sicilia.

(http://tanogabo.com/atlantide-una-civilta-marinara-che-univa-i-continenti-nelleta-delloro/)

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